venerdì 26 marzo 2010

Giulio Litta


Fra i personaggi che hanno reso costante il legame fra la Russia e l’Italia emerge la figura di Giulio Litta che nell’arco della sua lunga vita fu al servizio di ben 4 sovrani russi.
Giulio Renato Litta (conosciuto in Russia come Julij Pompéevic Litta) era nato a Milano nel 1763 e apparteneva ad una delle più famose famiglie patrizie italiane: sia da parte di madre che da parte di padre discendeva dai Visconti. Ricevette presto l’investitura di Cavaliere dell’Ordine di Malta e a 19 anni iniziò il suo servizio nell’Ordine partecipando ad una serie di imprese marittime durante le quali accumulò una preziosa e ricca esperienza nel campo della navigazione. Fu naturale, quindi, che quando nel 1788 Caterina II chiese al Gran Maestro dell'Ordine di Malta di trovare una persona in grado di riorganizzare la flotta russa in vista di un'eventuale guerra con la Svezia, balzasse in primo piano il nome di Giulio Litta. Il Cavaliere Litta giunse a S. Pietroburgo nel gennaio 1789 e ne rimase affascinato per la bellezza architettonica e per la vivacità culturale. Nella sua prima lettera al suo fratello maggiore Lorenzo, il cavaliere così descrisse la capitale dello stato, cui era chiamato a servire:
"Le vie sono molto larghe, tante piazze. I palazzi pubblici e quei privati dimostrano la vera grandezza architettonica. Tanti canali grandi tagliano la Pietroburgo, senza dubbio, la più bella delle città europee. Al vedere questa capitale fondata appena all'inizio del nostro secolo uno si meraviglia la sua rapida crescita e fioritura. Qui ci sono i teatri che danno spettacoli in varie lingue: russa, tedesca, francese ed italiana, si organizzano i balli, ci sono i club amatori di musica, ballo, discorsi, giochi, per tacere di lussuria completa della vita privata".
Il giovane di 26 anni subito fu presentato all'Imperatrice e la impressionò della sua statura ercolica e del suo fascino tutt'italiano del quale non fu sprovvisto. Caterina II lo invitò a tutti gli spettacoli del corte, il segno di una benevolenza particolare, mentre il suo figlio, granduca Paolo lo invitò alla festa organizzata nella città di Pàvlovsk, dove Litta era l'unico ospite straniero.
Fu nominato maggior-generale della marina (capitano di corvetta), diventando il più giovane generale in Russia. Ricevette al suo commando una flottiglia leggera e si prese con entusiasmo alla sua riorganizzazione. Nelle azioni militari contro la Svezia comandava la flottiglia di n. 33 navi a remi, e per la partecipazione nella battaglia di Rochensalm fu promosso contrammiraglio, decorato dell'ordine di St. Georgio del III grado e dell'arma d'oro "per il coraggio". Nella seconda battaglia il giovane contrammiraglio non ebbe tanta fortuna, ma ciononostante ricevette altre onorificenze dalla zarina russa. Ma i successi raggiunti non permettevano al cavaliere maltese, che possedeva oltre ai talenti militari anche quelli di diplomazia, di riposare sui allori. Vedeva che sia le sue attività di riformatrici, sia onorificenze ricevute hanno fatto sorgere malevolenze nel seguito della zarina, perciò con prudenza misurava ogni sua mossa per non aumentare il numero dei suoi nemici. Ciononostante, quando nel 1792 chiese all'Imperatrice una vacanza per visitare la patria, fu inaspettatamente dimissionato dal servizio con una aggiunta cortese: "sino a un'eventuale futura necessità". La necessità fu sorta prestissimo, appena Litta arrivò a Milano. La situazione internazionale complicatasi, la minaccia di guerra contro lnghilterra costrinse a Caterina II di chiedere di nuovo i servizi del comandante di flotta esperto. Quando il pericolo di guerra contro Inghilterra passò, il cavaliere tornò a Milano, da dove partì a Malta, al servizio del suo Ordine.
Dopo pochi anni, a seguito della seconda spartizione della Polonia vaste e redditizie proprietà dell’Ordine dei Cavalieri di Malta erano passate sotto il dominio russo. Litta fu incaricato di trattare la restituzione di questi territori e quindi tornò a S. Pietroburgo nell’ottobre del 1795. La questione era delicatissima e le trattative si rivelarono immediatamente molto difficili: Litta disperava di poter giungere ad una soluzione soddisfacente. Ma la morte dell’imperatrice, avvenuta il 6 novembre 1796, ribaltò la situazione. Il nuovo imperatore, Paolo I, non solo era un ammiratore dei Cavalieri di Malta, ma era anche amico intimo di Litta e della sua famiglia, presso la quale aveva alloggiato durante il suo viaggio in Italia del 1782. Paolo I riconfermò quei territori possesso dell’Ordine e per di più istituì il grande priorato russo dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, cui fece parte il priorato polacco. Il Consiglio dell'Ordine come segno della gratitudine per il favore ha chiesto all'Imperatore russo di accettare il titolo del patrono dell'Ordine, e Litta, visto il successo della sua missione, fu nominato l'ambasciatore dell'Ordine a Pietroburgo.
L'ambasciatore maltese, per rinforzare il suo status a Pietroburgo ha chiesto dall-Ordine di mandargli vari regali dell'Ordine e il 27 novembre del 1797 organizzò il suo ingresso solenne nella capitale russa. Per farlo, un giorno prima aveva lasciato Pietroburgo, nella periferia si traslocò insieme con i funzionari della corte che facevano il suo seguito nelle carrozze pompose della corte, concessigli per il caso dal Paolo I, dopo di che la processione composta da n. 40 carrozze fece il suo ingresso nella capitale. Il conte Fiodor Golòvkin, chi faceva l'ambasciatore russo presso la corte veneziana, in tono molto sarcastico descrisse nelle sue memorie la cerimonia dell'ingresso in funzione dell'ambasciatore dell'ordine cavalieresco-religioso:
"Infine, la Sua Eminenza (cioè, Litta, nota degli autori) si nascose nelle periferie della capitale ed io sono stato obbligato ad incontrarlo nelle carrozze della corte alla porta di Peterhoff. Anche tutti gli altri nobili russi mandarono le loro carrozze lì. L'ingresso fu magnifico, ma il popolo non capiva niente. Un macellaio, avendo riconosciuto la faccia dell'ambasciatore, gridò: "E' l'impostore! Vuole fare credere al nostro Sovrano che è appena arrivato, mentre durante due anni accumulò presso di me il debito di 600 rubli".
Litta consegnò a Paolo I "la sacraria dell'Ordine" - la croce che portò La Vallette, il famoso protettore di Malta contro i turchi nel 1565, e decorò con le decorazioni dell'Ordine i membri della famiglia e del seguito dell'Imperatore. Un contemporaneo ironizzava all'occasione: "Le croci di cavalieri e commendatori decorarono i petti dei figli pacifici della chiesa ortodossa".
Frattempo arrivò in Russia il fratello di Giulio, Lorenzo, in qualità del nunzio papale. Tutti i due con zelo si attaccarono al rinforzamento delle posizioni del cattolicesimo in Russia. La situazione sembrava di favorire l'affare. Paolo I era possesso dall'idea farnetica di riunire sotto le bandiere dell'Ordine maltese, ristorando il suo spirito di cavalleria di una volta, tutta l'aristocrazia dell'Europa per la lotta contro la Francia rivoluzionaria. Sembrava di aver dimenticato, che l'Ordine non fu tanto l'unione dei cavalieri, che possedeva il potere civile sull'isola, ma anche, e prima del tutto, l'istituzione ecclesiastica cattolica, soggetta al Papa di Roma. D'altronde, nei tempi di cui parliamo, la sede dell'ordine si traslocò dall'isola meridionale inespugnabile alla capitale russa, perché nel 1798 Buonaparte occupò l'isola senza nessuna resistenza da parte dei gloriosi cavalieri. Il Papa di Roma, anche lui, come il Gran Maestro dell'Ordine Gompeche, chi ha ceduto l'isola senza battaglia, dal febbraio del 1798 era in fuga, mentre a Roma l'insurrezione proclamò la repubblica.
Vedendo come sui loro occhi crollava tutto l'edificio della chiesa cattolica, i fratelli Litta inventarono una mossa astuta per coinvolgere a Paolo I nell'avventura di restauro del potere e dell'autorità del Papa e nella liberazione di Malta dal dominio francese.
All'insistenza del Giulio, "il Grande priorato russo", usurpando le prerogative di tutto l'Ordine, spodestò a Gompeche, il quale non seppe d'organizzare la difesa di Malta dai francesi, ed elise al Paolo I "il Gran Maestro dell'Ordine statale del Santo Giovanni di Gerusalemme". Giulio Litta stesso diventò il suo sostituto responsabile per gli affari dell'Ordine, il ciò lo avvicinò molto allo zar e lo fece una persona molto influente nella corte russa.
Litta ricevette dall’imperatore ulteriori titoli nobiliari, nuovi incarichi e ricompense di natura finanziaria. Nel 1798 il Cavaliere maltese decise diventare suddito russo, il ciò allargò ancora il campo delle sue attività in Russia. Perché l'italiano così devoto alla corte russa, faccia le radici più duraturi in Russia, Paolo I decise di farlo sposare una donna russa, e si era rivolto al Papa Pio IV, chiedendo di liberare Giolio Litta dal voto di castità, dato alla sua investitura all'ordine monastico. Pio IV soddisfò volentieri alla richiesta dell'imperatore, e così, l'ex cavaliere di Malta diventò nel 1798 consorte di una delle aristocratiche più nobili di Russia, la dama di corte contessa Caterina Skavrònskaya, nata Engelgardt.
Malgrado a tutti predizioni contrari, il loro matrimonio risultò molto felice per ambedue i consorti.
Nonostante la sua situazione di povero esule politico, il Papa non osò a confermare il monarca ortodosso russo come capo dell'ordine cattolico. E se fratelli Litta contavano come successo della religione cattolica in Russia il fatto che l'imperatore accettò il titolo del Gran Maestro dell'Ordine di Malta e molti nobili russi ne diventarono membri, l'imperatore stesso aveva tutte le ragioni di considerare gli stessi fatti come il successo dell'affermazione della propria influenza nell'isola Malta. In ogni caso quando gli fu nota la presunta "ingratitudine" del Papa e dei tentativi del suo nunzio a Pietroburgo Lorenzo Litta d'interferire negli affari dei suddetti russi di religione cattolica, entrò in furie ed ordinò espellere a Monsignor Litta da San Pietroburgo in 24 ore, e al suo fratello, l'ex cavaliere maltese diventato suddetto russo mandò in esilio nel suo villaggio. Ma stavolta nessun macellaio di Pietroburgo non poteva mostrare a Litta come il suo debitore: Caterina, la sua consorte, era ricchissima. Allontanato dagli affari di stato il conte cominciò a vivere una vita tranquilla del possidente ricco. L'ex stratego marino, il diplomatico e cortigiano astuto utilizzò tutta la sua energia nel sistemare gli affari nelle enormi possessioni terriere della sua moglie. In un termine breve era riuscito ad aumentare 3 volte i redditi, organizzando l'allevamento del bestiame di razza, dei cavalli, organizzò manifatture, distillerie, miniere ecc. Con piacere Litta comunicava i suoi successi economici a patria. Lui scriveva: "La mia moglie ha moltissime possessioni terriere in Russia, Ucraina e Polonia. I confini di una delle possessioni, quella dove noi ci troviamo adesso, sono lunghi 360 mila di verstà (un po' più di un km). Ci sono i boschi immensi del legno di costruzione e campi arati molto fertili. Per ogni ara del campo ci sono 6 - 8 teste di vacche, per farvi immaginare le dimensioni delle nostre possessioni. Negli anni buoni la raccolta di cereali fa 12 - 14 volte del seminato".
Julij Pompéevich, come lo chiamavano in Russia non esagerava minimamente raccontando nelle sue lettere in Italia la scala delle sue attività economiche. Dell'organizzazione esemplare e della prosperità delle possessioni di Caterina Vassilievna, quando se ne occupò il suo marito, l'ex cavaliere maltese in Russia circolavano leggende. All'esempio, un conoscente di Pushkin, K.Ja.Bulgakov in novembre del 1923 scrisse al suo fratello: "il giorno 3 del mese ci fu l'anniversario di 25 anni del matrimonio del conte Litta. Lui regalò alla moglie un diadema di perle con tutti gli accessori che costava 280 mila. Ma il particolare è nel fatto che lo pagò subito in contanti! Terribilmente ricco!". Dei suoi doni veramente regali alla moglie all'occasione delle nozze d'argento Litta con piacere comunicava in Italia. La scala dei regali era veramente regale, siccome oltre al diadema di perle con tutti gli accessori c'era anche una "sorpresa" al Capodanno - le famose gioielli che appartenevano prima a Maria Antoinette. "Solo io, - aggiungeva Litta, - in tutto l'impero mi posso permettere tale spese, pagarle in contanti e non essere indebitato a nessuno".
Il disfavore di Litta presso l'Imperatore non durò lungo, meno di un anno. Lo richiamò di nuovo a Pietroburgo dove fece parte del cerchio ristretto delle persone più vicine all'imperatore. Ancora prima del suo esilio Litta era riuscito di convincere lo zar, che lui si doveva creare una guardia personale, formata esclusivamente da aristocratici, così come l’avevano avuta tutti i precedenti Gran Maestri dell’Ordine di Malta. Così nel 1799 fu restaurato il corpo di cavalieri di guardia (trasformato nel 1800 in un reggimento), dove faceva servizio il fior dell'aristocrazia russa. Il conte Litta divenne il comandante del nuovo reggimento.
Ora Litta si interessava meno degli affari dell'Ordine e della Chiesa cattolica: aveva imparato bene la lezione fattagli dal Paolo I. Viveva la vita di un alto dignitario russo insignito di tutte le onorificenze possibili. La sua carriera continuò durante il regno di Alessandro I, il quale lo nominò oberhoffmeister, capo del dipartimento d'approvvigionamento della corte, e infine, il membro del Consiglio Statale. Sotto Nicola I continuò a collezionare le più alte onorificenze russe. L'Imperatore lo decorò dell'ordine di St. Andrea il Primo Chiamato e nominò ober-kamerherr. Allo stesso tempo Litta presiedeva il dicastero dell'economia, era presidente della commissione di erezione del Cattedrale di St. Isaak, di erezione del monumento di Alessandro I, era membro della società di beneficenza.
Anche se non era più giovanissimo manteneva un eccellente vigore fisico. Un colpo grande fu per lui la morte della sua moglie nel 1929, la donna, come lui scriveva a un amico suo in Italia "dotata del carattere angelico e dei più alti valori spirituali", la cui perdita, scriveva lui, "ha rotto il suo cuore". Julij Pompéevich soffriva tanto la disgrazia. Volle visitare la patria, dove non era stato 36 anni. Alla fine del 1830 partì per l'Italia.
Ma già nel 1832 il conte tornò a Pietroburgo dove tornò alle attività di prima. Ecco come lui descriveva in una delle sue lettere in Italia il suo passatempo: "Come sempre faccio la vita mondana, visito tutti i balli, feste, sono presente alla Corte, alle serate mondane. In una giornata da mattina sono stato nella cattedrale di Alexandr Nevski alla messa funerale del mio collega oberhoffmaresciallo Naryshkin, morto in Crimea e portato qua, poi tre ore partecipavo nella riunione del Consiglio dello Stato, dopo di che sono stato presente al battesimo dove fece il padrino della mia bisnipote, contessa Julia Golìtsina, (dopo sposalizio - Kuràkina), allo stesso giorno partecipava in un pranzo di 40 persone dal conte Nesselrode, poi ho visitato uno spettacolo francese, poi un ricevimento privato di 400 persone. Ecco la mia giornata". In un'altra lettera scriveva: "Sono fresco, grosso, enorme, mi sento benissimo. Ai consigli dei medici oppongo la mia prassi, le mie esperienze ed i miei risultati. Trovate mi un altra persona della mia età chi non abbia bisogna degli occhiali (il conte aveva all'epoca 72 anni). Ho un'ottima vista, non uso canna di passeggio e durante le mie visite quasi quotidiane agli ospedali salgo la scala al 4 piano. Non faccio né diete, né regimi, mangio e bevo cose che mi piacciono a qualsiasi ora del giorno. Non conosco né gastriti, né mali di testa, ne reumatismi. L'appetito e il sonno - questi due "termometri" principali della salute non mi fanno meno mai".
Julij Pompéevich non esagerava. I suoi contemporanei testimoniano unanimemente che Litta sulla ottantina faceva l'impressione di un ercole vigoroso. Un autore di memorie scriveva: "Il conte Litta aveva circa 70 anni, ma in parrucca sembrava di averne solo 50'ta. Era di una statura altissima e grasso come Lablach (un cantante francese), ma più mobile e d'aspetto nobile dalla testa ai piedi. Di solito portava la divisa ufficiale e le decorazione russe le più importanti".
E il fatto non era dovuto solamente all'etichetta di corte. Ju.P.Litta, nato italiana con il tempo cominciò a considerare la Russia come la sua seconda patria alla cui serviva onestamente. I suoi biografi sottolineano, che nel Consiglio dello Stato si teneva in una maniera indipendente e si affiliava al gruppo progressista composto da Kochubéy, Sperànsky, Mordvìnov. Durante la guerra Patria contro Napoleone regolarmente donava per la milizia popolare e per l'aiuto alle vittime della guerra.
Dopo la morte della sua moglie l'unica sua affezione cordiale rimase la nipote da lui adottata della sua moglie Caterina Vassilievna dal suo primo matrimonio la contessa Julia Pavlovna Samòylova (nata Pàlen), la quale dagli anni 20'ti visse in Italia. Litte le scriveva le lettere lunghe, raccontando le notizie personale e quelli di San Pietroburgo. Ju.P.Samoylova gli proponeva insistentemente di trasferirsi in Italia, ma lui rifiutò netto di lasciare la Russia, nonostante tutta la sua affezione alla figlia adottata e la sua sofferenza del distacco con lei. Spiegava la sua decisione con il fatto che in Italia non rimaneva in vivo nessuno dei suoi coetanei, e dove in assenza delle solite occupazioni, che riempivano la sua vita a Pietroburgo sarebbe ridotto a una morte lenta, mentre in Russia si sente capace di rendere il servizio al paese dove ha ottenuto la posizione sociale così tanto alta.
Però il tempo e l'età chiedevano il loro debito. Nell'inverno del 1939 il conte si ammalò e il 26 gennaio morì all'età di 76 anni. Fu sepolto nella chiesa cattolica a Tsarskoye Selò. Nei funerali era presente Nicola I ed altri alti funzionari dell'impero.
A proposito della sua morte si racconta un aneddoto. Famoso per la sua golosità non si smentì neppure sul letto di morte. Sembra che si sia fatto portare una tripla razione di gelato e dopo averlo mangiato con gusto avrebbe fatto anche i complimenti al cuoco dicendo: “Salvatore, ti sei distinto per l’ultima volta!” Quello stesso giorno mori’, era il 26 gennaio 1839. Ancora oggi la città di S. Pietroburgo conserva un ricordo prezioso dell’aristocratico italiano che visse e mori’ in Russia. L’Ermitage infatti custodisce la famosa Madonna Litta di Leonardo da Vinci, donata al museo nel 1865 dai discendenti di Giulio Litta, il quale a sua volta l’aveva ereditata dai Visconti.

Non aveva eredi legittimi. Aveva i figli bastardi da una francese: un figlio e una figlia. Il figlio assomigliava al padre e fece una carriera teatrale usandosi del pseudonimo Attil (cioè Litta, letto all'incontrario). Oltreciò aveva l'amore con la figlia della sua moglie dal primo matrimonio, la contessa von Pàlen, e tutti notavano la somiglianza fra la sua figlia Julia e Julij Pompéevich.
Le sue enorme ricchezze in Russia e in Italia ha legato alla sua figlia adottata, la quale anche prima, al sposarsi con il conte N.A.Samoylov ricevette dal padre una dote milionaria. Ora, dopo la morte del padre divenne la proprietaria dei palazzi e ville, che appartenevano alle famiglie Litta e Visconti a Milano e nelle sue periferie, dove faceva ricezioni ricchissime, che attraevano il fiore della nobiltà italiana e quella russa.

Ho compilato il materiale dal libro di Ivan Bociarov "Pushkiniana italiana", 1991 e dalla Wikipedia russa.

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