venerdì 29 gennaio 2010

Non fate impazzire gli americani

Non fate impazzire gli americani

Estratto dall'articolo di Nikita Alexéjev, pubblicato nella rivista "Novyj Inostranets" (nuovo straniero) n. 8 del 1999.

Ho a Parigi un'amica americana Jugith, che ormai da 25 circa anni abita Francia. Vuol dire, che di un'americana in lei è rimasto ben poco. Ma mantiene i legami con i suoi compatrioti, comunica con gli americani che visitano le sponde della Senna.

Una volta mi invitò a casa sua per un party, dicendo che ci saranno solo i suoi compatrioti, tutte persone simpatiche e sensate. Avevo un affare da trattare con Judith, ma anche m'interessava comunicare con gli americani. Visto che son mai stato in America, speravo così di vedere un gran loro numero almeno in Europa.

Quando son venuto, nel salotto ho visto camminare su e giù, bicchieri in mano, circa 20 americani e americane, sorridendo uni agli altri. Avevano l'aspetto molto americano. Anch'io presi un bicchiere e cominciai girare il locale. Solo che un sorriso così tanto abbagliante non riuscii a fare.

In scambio, il primissimo americano verso il quale m'indirizzai mi rivolse un sorriso così forte, come se fossi il suo fratello germano più amato, il quale lui non vide da 10 anni e considerava disperso. "How are you?"

Non so, che mosca mi era saltata in naso. Eppure sapevo, che questa domanda rituale una risposta obbligatoria in tono trionfante "Sto benissimo!!!". Tanto che menavo allora una vita se non serena del tutto, ma almeno non da lamentarmi.

Ma al posto di rispondere "Sto benissimo!!!", io, tentando d'imitare sul mio viso il suo sorriso rispose "Grazie, male". Con la faccia dell'americano successe una cosa strana: il sorriso ci rimase, ma si pietrificò. I suoi occhi morirono. Fece un movimento automatico del corpo e si allontanò. Ma un altro americano mi capitò per strada, stavolta del sesso femminile. Quella signora simpatica dell'età media mi fece la stessa domanda. Certo, che potevo correggere l'errore commesso, ma a volte succede che stranamente conosci che stai facendo qualcosa di sbagliato, ma non puoi già fermarti. Senti una specie di sfida sportiva.

Devo confessare, che sin d'ora non mi rimprovero dello sperimento fatto quella sera. Mi risulta stupido di sorridere a tutti quanti e comunicare dintorno che stai benissimo. Anche all'americana comunicai, che stavo male. Su di lei la comunicazione fece un effetto differente da quello della mia prima vittima. Lei decise di non impietrire, ma mi fece un giro attorno, avvicinò un gentiluomo dai capelli bianchi e gli tortoreggiò qualcosa. Lui fra un attimo era già accanto a me. "How are you? - Thank you, very bad". Scrollò la testa in segno di compassione e in tono calmante pronunciò "O'kay, o'kay".

Più tardi Judith mi disse, che era uno psicoanalitico ben noto dall'Oklahoma.

Capii, che dovevo agire in modo più risoluto. Non mi avvicinava più nessuno, ho preso io l'iniziativa, avvicinato ad una ragazza affascinante, la domandai come lei stava. Ho rinvenuto, che stava eccellentemente. Lei si informò, in turno, della mia vita. Seppe, che essa era orrenda. Sulle sue guance apparve un rossore febbrile.

Un signore dell'aspetto sportivo ed abbronzatura tropicale si versò il vino sulla camicia. Una dama afroamericana, come seppi più tardi - la professoressa dell'etnologia dell'Università di Columbia scattò in risolini nervose. Un giovane ragazzo con tre orecchini nell'orecchio mi dette, stranamente, una pacca sulla spalla, il suo sorriso scivolò su un lato. Un tizio barbuto di capelli rossi ed aspetto contadino in una camicia a quadretti feci finta di non accorgersi di me.

La gente nella sala smise di girare su e giù. Continuando i sorrisi, cominciarono di formare i gruppi. Da uno di questi gruppi si staccò un tizio d'aspetto allegro, vestito di un abito caro e gli occhiali a montatura d'oro. Sorridendo largo, lui mi scrutinò di occhi e mi fece la stessa domanda fatale. Ho avuto l'impressione, che la mia risposta non gli fu inaspettata. Gli bastarono le forze per rimanere accanto a me. Toccando confidenzialmente la manica della mia camicia, cominciò a convincermi di non rattristarmi, disse che non vuole trasgredire la mia privacy, ma a volte uno ha bisogno di sfogarsi, tutti noi siamo persone umane, a volte ti succedono di cotte e di crude, ma cadere in una depressione sarebbe l'ultima cosa da fare, la vita continua comunque... All'esempio, la sua (di quel tizio!) moglie è malata di cancro, le sono rimaste solo alcuni mesi di vita, ma il suo spirito (della moglie!) è così forte! Persino ha cominciato studiare la lingua italiana, per poter leggere il Grande Dante in originale! Mentre Lei è ancor giovane, ha tutta la vita davanti!

Così capii, che bisognava terminare lo sperimento, che stava per diventare inumano. Yes-yes, Sir, thank you, Sir, - mormorai io e cominciai a muovermi verso l'uscita. Ho chiesto scusa a Judith. Alcuni mesi ce l'aveva con me. Benché mi comunicò, che quando me ne son andato, la serata diventò molto interessante. Gli ospiti cominciarono a discutere vividamente i temi dell'esistenza umana. Il morale: comportatevi in modo decente. E non far ammattire gli americani con delle risposte inopportune. Ne possono impazzire. E cosa n'approfitterete? Niente!

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