mercoledì 10 febbraio 2010

Venedikt Eroféev

Venedikt Eroféev (o anche Jeroféev), l'umorista russo di culto (1938 - 1990), l'autore del famoso "poema" Tra Mosca e Petuškì (o Mosca - Petuškì). Ne ho visto n. 2 traduzioni italiane: di Mario Caramitti (V. Erofeev, Tra Mosca e Petuški, Roma 2003), frammenti si può vedere nel sito, multilingue, dedicato al famoso capolavoro: http://www.petuschki.net/, la pagina italiana: http://www.petuschki.net/ita/irechts.php, nonché quella di Gario Zappi ("Mosca-Petuški e altre opere" 2004), i frammenti più in esteso possono essere visti sulla macchina di ricerca dei libri: http://books.google.com/
eccovi una delle pagine di ricerca:
http://books.google.com/books?id=au2j7HDiewAC&printsec=frontcover&hl=ru&source=gbs_navlinks_s#v=onepage&q=&f=false

Signora Ilaria Remonato nel suo articolo "Dalla tana del coniglio..." opina, che quella di Caramitti sia migliore:

"Fra le tre traduzioni italiane attualmente disponibili si è scelto di proporre in nota la versione di Mario Caramitti". Non essendo l'italiano la mia lingua natia, sono costretto di fidarmi della sua opinione. Comunque, ho trovato fra i frammenti in libero accesso della rete alcuni brani in parallello dalle due traduzioni, eccoveli:

La traduzione di

Mario Caramitti

La traduzione di

Gario Zappi

E vai da qualche parte. Non importa dove. Se anche vai a sinistra, arriverai alla stazione di Kursk. E se vai dritto, comunque finirai alla stazione di Kursk. Perciò vai a destra, Venička, così sei sicuro di arrivarci.

E segui almeno una direzione, una qualsiasi. Non importa quale. Anche se prendi a sinistra finirai per sbucare alla Stazione di Kursk. E anche se vai dritto, finirai alla Stazione di Kursk, perciò prendi a destra, così ci finirai a colpo sicuro.

E che ottima cosa che già ieri sera ho comprato i regali: non potevo certo andare a Petuški senza regali. Mi ci hanno fatto pensare gli angeli ai regali, perché le persone per le quali li ho comprati fanno loro stesse pensare a degli angeli. Davvero un'ottima cosa che li hai comprati....

Meno male che ieri ho comprato i regalini, non si può mica andare a Petuški senza i regalini. A Petuški senza i regalini non si può proprio. Sono stati gli angeli a ricordarmi dei regalini perché quelli per cui sono stati acquistati sembrano angeli loro stessi. Meno male che li ho comprati...

Non c'è niente di alcolico! Regina del Cielo! Ma se a dar retta agli angeli qui lo sherry scorrerebbe a fiumi. Adesso invece c'è solo la musica, e per di più una musica con certe modulazioni canine. E in effetti è proprio Ivan Kozlovskìj, l'ho riconosciuto subito, non c'è nulla di più fetido di quella voce. Tutte le voci dei cantanti sono ugualmente fetide, ma sono fetide ciascuna a suo modo. È per questo che le riconosco al volo... Ma certo, Ivan Kozlovskìj: 'O-o-oh, calice dei miei avi... O-o-oh lasciami saziare del tuo sguardo al lume degli astri notturni'. Ma certo, Ivan Kozlovskij: 'O-o-oh, perché son da te stregato?... Non mi respingere'...
«Allora, vuole ordinare qualcosa?»
«E che cos'è che avete, solo musica?»
«E perché mai 'solo musica?' C'è il beef stroganoff, ci sono pasticcini. E mammelle d'Agnello...»
Si è rifatto sotto un conato di vomito.
«E lo sherry?»
«E lo sherry invece non c'è.»
«Buffo. Ci sono le mammelle d'agnello e non c'è lo sherry!»

Alcolici niente! Regina dei cieli! A prestar fede agli angeli lo xeres qui doveva scorrere a fiotti. Mentre ora c'era solo della musica, con certe modulazioni canine poi... E proprio Ivan Kozlovskij che canta, l'ho riconosciuto subito, perché nulla fa più schifo della sua voce. Tutte le foci di tutti i cantanti fanno schifo, ma ognuna fa schifo a modo proprio. E' per questo che riesco a distinguere a orecchio... Ma certo, Ivan Kozlovskij... "O-o-oh, il calice dei miei a-a-vi..." "O-o-oh, lascia che mi sazi di guardarti alla luce delle no-o-otturne stelle..." Ma sì, certo, Ivan Kozlovskij... "O-o-oh, perché mai da te son stre-e-e-gato... Non mi re-e-espinger..."

- Ordinate qualcosa?

- Ma che c'avete? Solo della musica?

- Perché "solo della musica"? C'è del Boef alla Stroganoff, delle paste, della poppa di vacca...

Sono stato di nuovo soprafatto dalla nausea.

E dello xeres?

- Xeres niente.

- Interessante. C'avete la poppa di vacca ma non c'avete lo xeres!

Mi piace questa cosa. Mi piace che il popolo del mio paese abbia occhi cosi vuoti e rigonfi. Induce in me un sentimento di legittimo orgoglio... Ci si può figurare che occhi ci sono dall'altra parte. Là dove tutto si vende e tutto si compra: ... occhi profondamente nascosti, occultati, rapaci e tremebondi... Svalutazione, disoccupazione, povertà... guardano in tralice con ansia implacabile e pena. Ecco gli occhi del mondo del puro profìtto...

Invece che occhi ha il mio popolo! Sempre spalancati, ma senza traccia alcuna di espressione. Totale assenza del benché minimo senso: ma in compenso, quale forza! (quale forza spirituale!). Questi non sono occhi pronti a venderti. No, non venderanno e non compreranno niente. Qualsiasi cosa succeda nel mio paese, nei giorni del dubbio, nei giorni dell'affannosa incertezza, quando gli si pareranno di fronte prove e calamità, questi occhi non batteranno ciglio. Per loro è tutto acqua fresca... Mi piace il mio popolo. Sono felice di essere nato e di essere maturato sotto lo sguardo di occhi del genere.

E questo mi piace. Mi piace che il popolo del mio paese abbia occhi così assenti e strabuzzati. Ciò m'infonde un senso di legittimo orgoglio... Figurarsi, invece, gli occhi che hanno laggiù. Laggiù, dove tutto si vende e tutto si compra: occhi profondamente nascosti, acquattati, famelici e terrorizzati... L'inflazione, la disoccupazione, il pauperismo... Occhi che guardano di traverso, con sofferenza e tormento incessanti: ecco come sono gli occhi nel mondo della moneta sonante...

In compenso quali occhi ha il mio popolo! Permanentemente strabuzzati, ma senza tensione alcuna. Assenza totale di qualsiasi senso ma, in compenso, quale potenza! (Quale potenza spirituale!) Sono occhi che non venderanno. Che non venderanno né compreranno nulla. Qualunque cosa accada al mio paese, nei giorni delle grevi meditazioni, nei tempi di qualsiasi prova e sciagura, questi occhi non batteranno ciglio. Per loro è tutto come manna del cielo... Mi piace il mio popolo. Sono felice d'essere nato e cresciuto sotto gli sguardi di simili occhi.

“Petuški è un luogo dove gli uccelli non smettono di cantare né di giorno né di notte, e né d’inverno né d’estate sfiorisce il gelsomino. Il peccato originale, se mai c’è stato, lí non grava su nessuno. Lí persino quelli che si straciuccano per settimane intere hanno lo sguardo limpido e senza fondo… “Là ogni venerdí alle undici in punto mi aspetta sulla banchina della stazione quella ragazza dagli occhi bianchi, di quel bianco che trapassa in biancastro, la piú amabile tra le troiette, una diavolessa biondissima, quasi bianca. E oggi è venerdí, e tra meno di due ore saranno le undici in punto, e ci sarà lei, ci sarà la banchina della stazione, e quello sguardo biancastro privo di ogni coscienza e vergogna. Venite anche voi con me: oh, ne vedrete!...”

Pregate per me, angeli. Che il mio cammino sia luminoso, che non inciampi nella pietra, e veda la città per la quale tanto ho languito. Ma per il momento, abbiate pazienza, per il momento state attenti alla mia valigetta, perché io mi devo allontanare una decina di minuti. Devo bere vodka della Kuban' perché lo slancio non si spenga.

Petuški è il luogo dove gli uccelli non tacciono né di giorno né di notte, dove né d'inverno né d'estate sfiorisce il gelsomino. Il peccato originale, se mai c'è stato, lì non è di peso a nessuno. Lì perfino chi se ne sta per settimane sbronzo fradicio ha lo sguardo limpido e senza fondo...

"Lì ogni venerdì, alle undici in punto, m'accoglie sulla banchina della stazione la ragazza dagli occhi bianchi, d'un bianco che si stempera nel biancastro, l'amatissima tra le sgualdrine, la diavolessa dai capelli color stoppa. E oggi siamo a venerdì, e tra meno di due ore saranno le undici in punto, e ci sarà lei, e ci sarà la banchina della stazione e quello sguardo biancastro in cui non c'è né vergogna, né pudore. Venite con me, oh, ne vedrete delle belle!

Pregate, angeli, per me. Che sia luminoso il mio cammino, che non inciampi in una pietra, e veda la città cui ho anelato tanto a lungo. Nel frattempo - scusatemi proprio - nel frattempo date un'occhiatina alla mia valigetta, perché devo fare una cosetta per dieci minutini. Devo bermi della Vodka del Kuban' perché l'empito venga meno in me".

...sono malato nell’anima, anche se non lo do a vedere. Perché da quando ho memoria di me stesso non faccio altro che simulare la salute mentale, ogni istante della mia vita, e per farlo consumo dalla prima all’ultima tutte le mie energie, mentali, fisiche, e chi più ne ha più ne metta. È per questo che sono noioso…tutto ciò che quotidianamente vi interessa mi è oltre ogni misura estraneo. Sì. Ma di quello che interessa me, mai a nessuno ne farò parola. Può darsi sia per la paura di passare per sciroccato, o per altro ancora forse, ma mai sentirete una parola, non una”.

Perché mi duole l'anima, anche se faccio finta di niente. Perché da quando ho memoria di me stesso, non faccio altro che simulare d'essere sano nell'anima, ogni istante, e per riuscirci consumo tutte (tutte quante senza lasciar residui) le forze intellettive e fisiche, e chi più ne ha più ne metta. Ecco perché sono noioso. Tutto ciò di cui parlate, tutto ciò che vi impegna quotidianamente, m'è infinitamente estraneo. Sì. Mentre di ciò che impegna me non farò parola con nessuno. Forse per il timore d'apparire rincitrullito, forse per qualcos'altro ancora, però manco una parola.


Eccovi due altri frammenti della traduzione di Mario Caramitti, presi dal sito summenzionato:

Il famoso lavoratore d'assalto Alekséj Stachanov andava al bagno due volte al giorno per un piccolo impegno, e una volta ogni due giorni per un grosso impegno. Quando beveva a rotta di collo, andava al bagno quattro volte al giorno per un piccolo impegno, e neppure una per un grosso impegno. Calcola quante volte all'anno il lavoratore d'assalto Aleksej Stachanov andava al bagno per piccoli e grandi impegni, considerando che beveva a rotta di collo 312 giorni all'anno.

Lord Chainberlain, premier dell'impero britannico, uscendo dal ristorante della stazione di Petuški, è scivolato sul vomito di non so chi, e cadendo ha rovesciato un tavolino. Prima della caduta, sul tavolo c'erano: due pasticcini per un prezzo unitario di 35 copeche, due porzioni di beef stroganoff da 78 copeche, due porzioni di mammelle d'agnello da 39 copeche e due brocche di sherry. Tutti i piatti sono rimasti integri. Tutte le portate sono divenute inservibili. E con lo sherry è successo quanto segue: una caraffa non si è rotta, ma tutto il contenuto si è rovesciato fino all'ultima goccia; l'altra caraffa è andata in mille pezzi, ma non se ne è rovesciata neppure una goccia. Considerando che il costo di una caraffa vuota è di sei volte superiore a quello di una porzione di mammelle d'agnello, e il prezzo dello sherry lo sanno anche i poppanti, calcola quale conto è stato presentato a Lord Chamberlain, premier dell' impero britannico, nel ristorante della stazione di Kursk ?...

Il libro pubblicato da Feltrinelli, "Mosca-Petuški e altre opere", oltre del poema stesso contiene anche il saggio "La mia piccola leniniana", basato sui brani delle lettere di Lenin stesso e dei suoi parenti ed amici, commentati da Erofeev:

"Tanto per cominciare, due epigrafi del tutto pudiche e per signora: Nadežda Krùpskaja (nota mia: moglie di Lenin) a Marija Il'ìnična Ul'ànova (sorella minore di Lenin): "Mi spiace, però, di non essere un uomo, perché se lo fossi potrei andare a zonzo dieci volte di più” (1899). Inessa Armand: (l'amante di Lenin) “Mi volevano spedire a cento verste ancora più a nord fino al mare, nel villaggio di Kojda. Non è che ciò m'andasse proprio giù: innanzitutto perché là non ci sono quasi politici [...] e poi si dice che quel villaggio sin per intero contaggiato dalla sifilide, il che non è poi tanto piacevole” [metà dicembre 1907]. Comunque a queste si possono far seguire altre due epigrafi per signora, stavolta, però, non del tutto pudiche. Galina Serebrjakova sulle nottate di Kar Marx e Jenny von Westfalen: “Circondandolo di cure, [Jenny] scriveva pazientemente sotto la dettatura di Karl. [Mentre] Karl con fiducia filiale le dava i propri pensieri. Erano momenti felici di completo isolamento. Capitava che lavorassero insieme fino all'alba". Solo che inquilini che vivevano al di là della parete si lamentavano del fatto che per intere nottate “non la finivano mai di parlare e di far scricchiolare le fragili piume” (nella collana Vite di uomini illustri)".
E via di seguito.

Nota mia: La tradizione di chiamare alcune opere prosaiche "poema" provviene da Nicolaj Gogol. Alexandr Puškin ha chiamato il suo poema Eugeni Oneghin "romanzo in versetti", poi Gogol chiamò il suo romanzo prosaico Anime morte "poema"...

2 commenti:

nb ha detto...

Quando ho letto che Erofeev sarebbe un semplice "umorista" mi si è accapponata la pelle.. Ma chi ha scritto queste cose conosce veramente questo autore??

Sergio ha detto...

La gente "semplice" non esiste, tutti siamo complicati. Non so, di chi stai parlando, io non lo conosco personalmente, ne sig.ra Remonato, di sicuro. Venedikt Erofeev è morto nel 1990 dal cancro di gola...